Il cinema ha un nuovo Dna
Insolito incontro tra cinema e codice binario. Il flusso dei dati anima l’oggetto film e lo rende instabile. Soggetto a infinite variabili. L’autore di questi esperimenti artistici, Carlo Zanni, lo chiama Data Cinema. E dichiara di ispirarsi a Sol LeWitt…
I dati scorrono lungo le reti come sangue nelle vene. Sono la linfa del sistema, l’energia che lo rende un corpo vivo, un’entità in evoluzione. Nella prassi comune ci limitiamo a contarli, verificarli e mapparli. Controlliamo che il processo si svolga correttamente, scongiuriamo gli ingorghi e generiamo montagne di statistiche. Ma questo flusso, fatto di codici ed energia, può essere usato anche per iniettare vita in oggetti che altrimenti ne sarebbero, per loro natura, privi.
È quello che fa Carlo Zanni (La Spezia, 1975; vive a Milano e New York) quando sfrutta la circolazione continua dei dati su Internet per modificare il DNA di un media più anziano: il cinema. I suoi ultimi lavori, The Possibile Ties Between Illness an Success (2006) e il recente My Temporary Visiting Position From The Sunset Terrace Bar (2007) sono esempi di una tipologia di oggetto mediale inedita, che l’artista stesso ha ribattezzato “Data Cinema”.
Pur conservando una modalità di fruizione sostanzialmente contemplativa – e talvolta anche una struttura narrativa classica – questi webfilm si differenziano per la loro natura instabile. Non sono oggetti formalizzati una volta per sempre, ma si lasciano modificare da processi che avvengono in real-time.
In The Possibile Ties, toccante riflessione sul rapporto fra talento, successo e patologie maniaco-depressive, il protagonista del breve film (interpretato da Ignazio Oliva e Stefania Orsola Garello) può essere osservato mentre viene aggredito dai segni progressivi di una malattia. Le macchie che pian piano invadono il suo corpo, con il ritmo di un morbo contagioso, sono generate automaticamente da un software che comunica con Google Analytics, sistema di statistiche per monitorare il traffico sui siti web. Le chiazze si estendono all’aumentare dei visitatori e si distribuiscono sul corpo dell’attore in modo diverso a seconda della loro provenienza geografica. Il film cambia continuamente grazie all’interazione (inconsapevole) degli spettatori; il cinema non è più soltanto la registrazione della vita, ma finisce per incorporare un processo vitale al suo interno.
Il tema di The Sunset Terrace Bar è invece quello della migrazione, del nomadismo, delle frontiere. La “posizione temporanea” del titolo allude alla condizione dell’esiliato, al suo sradicamento, a un senso di mancata appartenenza (ben espresso nei versi della scrittrice Ghada Samman, che introducono il progetto). Il film si compone di due parti: un panorama urbano fisso, che appartiene alla città di Ahlen, in Germania, e un cielo “animato” che arriva direttamente da Napoli, dove, ogni sera, una webcam registra i colori del tramonto. Sul finale, il panorama viene invaso, inaspettatamente, da uno stormo di uccelli che attraversa lo schermo con gran fragore, spezzando di colpo l’atmosfera sospesa e lirica (un contributo fondamentale viene anche dalla colonna sonora, firmata da due nomi illustri: Gabriel Yared e Gothan Project). Anche stavolta, come in The Possibile Ties, il visitatore del sito web, oltre all’opzione “live”, ha la possibilità di guardare una “libreria” di filmati registrati e conservati, che vanno a formare una campionatura delle infinite versioni possibili.
Un altro aspetto che colpisce di questi lavori riguarda la complessa impalcatura di riferimenti e suggestioni che li sostiene. La parte visuale è infatti accompagnata – quasi riecheggiata – da una componente narrativa o poetica (il brano del romanzo American Purgatorio di John Haskell in The Possibile Ties; la poesia della Samman in The Sunset Terrace) e potenziata da una colonna sonora scelta con estrema attenzione. Alla tradizionale locandina cinematografica – che rimane, quasi a ricordarci le radici storiche dell’opera – si aggiungono i percorsi multimediali del sito web, che si trasforma in un vero e proprio “contesto” attivante.
Con questa nuova direzione di ricerca, che sviluppa temi, immagini e processi già parzialmente indagati in passato – Carlo Zanni ha prodotto, negli ultimi otto anni, un vasto corpus di opere che spazia dalla pittura a olio alla net art, passando per la scultura e il videogame – l’artista sembra portare a maturazione la sua riflessione sull’arte nell’era del digitale. Pur prendendo le mosse da una storica frase di Sol LeWitt, “the Idea Becomes a Machine that Makes the Art”, Zanni dichiara di volerla aggiornare in chiave contemporanea.
La nuova versione, che recita “The Idea Becomes the Code that Renders the Art”, mantiene la centralità dell’idea e l’accento sulla processualità, ma sposta l’attenzione verso le capacità generative del software. Uno strumento potente e malleabile, in grado di costruire nuove realtà.
Valentina Tanni / 2008