Stop alle telecamere
Il problema della sorveglianza elettronica appassiona da sempre artisti e attivisti, che lungo tutti gli anni Novanta ne hanno esplorato i risvolti con installazioni, video, progetti in rete e performance. Proprio in internet, dove il problema si complica per le diverse possibilità di sorveglianza che le reti rendono possibile, le esperienze sono state numerose, da Securityland di Julia Scher a Vopos degli 0100101110101101.org, che in un certo senso ne demistifica le potenzialitá trasformando la sorveglianza in autosorveglianza.
Collaborando con uno dei collettivi più attivi in questo settore, i Surveillance Camera Players, l’Institute for Applied Autonomy ha elaborato nel 2001 I-see, un’interfaccia web che offre la possibilità, a chi voglia muoversi per Manhattan evitando di farsi riprendere dalle telecamere nascoste, di elaborare un tracciato sicuro indicando il proprio punto di partenza e di arrivo. Il sistema, che si avvale dell’esperienza maturata dai SCP in anni di performance inscenate davanti ai dispositivi della città, nasce dalla precisa volontà di proteggere dallo sguardo indiscreto delle telecamere tutta una serie di categorie sociali di cui la videosorveglianza mette in discussione non solo la privacy, ma anche la sicurezza personale e la dignità: minoranze etniche, giovani, outsider, attivisti (spiati nei momenti di incontro e discussione come in quelli di dissenso pacifico) e donne, vittime ignare di indegne pratiche di voyeurismo. Il sistema è aggiornabile in tempo reale e consultabile da palmari e computer portatili.
(domenico quaranta)